L’Aurum in Franciacorta: il ristorante dell’Albereta riparte dal simbolo dell’oro

Il nuovo ristorante fine dining guidato dallo chef Alberto Quadrio – con il tre stelle Michelin Enrico Bartolini come mentore – punta su valorizzazione del passato, sul ricordo di Marchesi, territorio, sostenibilità e sensazione naturale che permea dall’esterno all’interno della sala, dal design al piatto, per un’experience totale.

di Annalisa Cavaleri

L’Albereta, in Franciacorta. Courtesy of Albereta

Il ristorante fine dining del resort L’Albereta in Franciacorta – guidato dallo chef Alberto Quadrio con Enrico Bartolini come mentor – riparte dal passato, valorizzandolo, per costruire un percorso di senso per il futuro, senza dimenticare le radici storiche che vollero Marchesi vivere qui per oltre 20 anni.

Il ricordo di Gualtiero Marchesi

L’Albereta non è un luogo qualsiasi per chi ama l’alta cucina: è stata per più di 20 anni, dai 65 agli 85 anni, la casa di Gualtiero Marchesi. Marchesi, per primo in Italia, è riuscito a trasformare un piatto in un simbolo, un piatto in un messaggio, un piatto in forma d’arte. Il suo “Riso, oro e zafferano” è un’opera d’arte che parla prima alla mente che alla pancia.

Riso, oro e zafferano di Gualtiero Marchesi – courtesy of Fondazione Gualtiero Marchesi

Con quel piatto, Marchesi gridava un messaggio: possiamo fare alta cucina anche noi italiani, senza copiare i francesi, ripartendo dalla nostra tradizione, ma guardandola con occhi diversi. Non a caso aveva scelto il risotto alla milanese – ricetta delle sue origini – per fare una rivoluzione di senso. Il risotto, trattato come una tela, era steso liscio sul piatto, senza imperfezioni, come un sole pronto ad accogliere l’elemento simbolico: la foglia d’oro commestibile che, prima di allora, era utilizzata nell’arte ma non in cucina. Ecco il collegamento immediato: la cucina è una forma d’arte. Il dettaglio arrivava alla maniacalità: la “punta” della foglia d’oro sul risotto, doveva essere rivolta nel servizio verso l’ospite, per “avvertirlo” che avrebbe trovato nel gusto una punta di acidità, dovuta al burro inacidito con un po’ di aceto di vino bianco.

La sala del ristorante L’Aurum. Progetto di Valentina Moretti

Tra le nuove parole chiave del lusso contemporaneo c’è la valorizzazione dell’heritage, del passato, delle tradizioni. Il lusso infatti ha un rapporto particolare con il tempo: non fa “piazza pulita del passato” ma lo trasforma in valore. Perché il passato è come le fondamenta di una casa: se non ci sono, tutto crolla. Ecco perché l’Aurum ha scelto, come necessario punto di inizio, di ripartire da quelle memorie che hanno reso celebre questo luogo nel mondo, per ripartire con vitalità.

Lo chef Alberto Quadrio

La nuova era del ristorante L’Aurum de L’Albereta – guidato dallo chef Alberto Quadrio e con mentorship del tre stelle Michelin Enrico Bartolini – si indirizza in questo nuovo solco. Partire da ciò che è stato, senza rinnegarlo, perché solo guardando indietro con coscienza si può progettare il futuro.

Lo chef Alberto Quadrio, allievo di Marchesi, con i libri del Maestro

Alberto Quadrio è stato accanto al Maestro in Albereta per poi continuare il percorso in molti ristoranti stellati Michelin che oggi si ritrovano nell’assaggio del suo menu. La forte influenza e precisione francesi – imparate dal tre stelle Alain Ducasse – si trova nelle tecniche, nelle salse e nei fondi, che avvolgono come solida base ogni preparazione, come le fondamenta di una casa. Lo stile e la capacità che dimostra, applicate al vegetale, evocano il passato al Joia con Leemann, primo ristorante in Europa a conquistare la stella Michelin con un menu vegetariano. Ci sono poi gli spunti spagnoli creativi del Disfrutar e la nettezza nordica del Geranium di Copenhagen. Tutto questo è reimpastato in una identità personale, come i vari ingredienti di una ricetta, mescolati insieme, danno poi vita a un piatto unico.

Alla destra della fotografia, un giovanissimo Alberto Quadrio nella brigata di Marchesi

La simbologia: l’oro e l’alloro

Prima di tutto il nome: L’Aurum. Con coerenza richiama sia l’oro che rese celebre il risotto di Marchesi, sia la preziosità di un elemento che da sempre contraddistingue la storia del lusso nell’umanità. Lo troviamo nelle rappresentazioni di Cristo e della Madonna, nelle aureole dei santi, nelle cupole d’oro delle moschee, nelle corone dei re. E, ancora, d’oro sono le rappresentazioni del Buddha, d’oro i gioielli delle donne indù. L’oro è, con incenso e mirra, tra i doni dei re Magi al Bambin Gesù. Gli Incas riflettono a lungo sulla polarità dell’oro e del suo opposto: il dio del sole è Inti, rappresentato da un disco d’oro, e la sua sposa, Mama Quilla, dea della luna, è un disco d’argento.

Il team di cucina de L’Aurum: chef Alberto Quadrio, Sous chef Ferdinando Giovetti, Pastry chef Camilla Guarnieri. In sala Alessia e Sara.

Nelle quattro età dell’umanità, l’Età dell’Oro è un’epoca in cui regnano prosperità e pace. L’oro è la rappresentazione concreta del fuoco sacro e la sua durezza e lucentezza rappresentano virtù morali. Nell’alchimia, infatti, l’oro è il risultato della ricerca della verità. Gli alchimisti cercano di trasformare i metalli meno nobili in oro, simbolo del raggiungimento della purezza interiore. Ecco perché chi guarda all’oro con fare venale viene castigato: come re Mida, che rischia di morire di fame perché ogni cosa che tocca di- venta oro, anche il cibo. Fu il modo di Apollo per punirlo della sua avidità.

Ma il Laurum è anche l’alloro simbolo di sapienza e di gloria immortale, come immortale sembra essere la pianta stessa; i suoi rami, infatti, non perdono il loro colore e sono sempre pieni di foglie, anche durante gli inverni più freddi. Un ulteriore richiamo a come l’arte -anche quella culinaria – debba essere forma di elevazione spirituale.

Il racconto di comprensione parte da qui, dai simboli. E da un giovane chef che è stato allievo del maestro Marchesi, a conferma che il passato di un luogo va custodito come risorsa preziosa.

Natura: dal design al piatto

Il ristorante è stato di recente rinnovato dall’architetto Valentina Moretti che ha voluto che la natura all’esterno “entrasse” nella sala, rompendo le barriere tra dentro/fuori, sia nel design che nel piatto. I rami degli alberi esterni del parco del resort, infatti, sembrano scivolare sul soffitto per scivolare all’interno della sala. L’aspetto naturale si trova anche nel piatto, con un menu completamente vegetale che racconta l’Orto di Mariella: 600 mq della tenuta del resort intitolato a colei che – insieme al marito Vittorio – creò la realtà che oggi è la TerraMoretti, holding che comprende produzione di vino, costruzioni e ospitalità stellata.

Natura in tutte le sue forme, perché oggi il lusso enogastronomico è experience completa, che non si ferma agli ingredienti: l’esperienza tattile naturale è rappresentata, fin da subito, nella carta del menu creato da Toscolano Paper che mescola, senza additivi, la cellulosa alle foglie di alloro, per creare una texture unica, sempre diversa. Il colore dei fogli del menu è sempre diverso, a seconda della quantità delle foglie di alloro presenti nell’impasto della carta. Un foglio che non è mai uniforme, ma vivo, che cambierà con le stagioni, perché il lusso è magnifica imperfezione.

Il menu naturale creato da Toscolano Paper, impasto di cellulosa e foglie di alloro.

Zucca e spezie: tra vegetale e ricordo d’infanzia

Ed è proprio il vegetale uno dei cavalli di battaglia dello chef Quadrio. Un esempio è “Zucca e spezie“, una sorta di pasta100% vegetale ricavata -direttamente al tavolo dal maitre – dalla “zucca spaghetti” di origine giapponese, che deve il proprio nome alla polpa giallo chiaro che, una volta cotta, si sfilaccia in lunghe fibre filamentose. La polpa è posizionata nel piatto, all’interno di un anello a base di zucca, addolcita con sciroppo mostarda. In chiave di utilizzo totale dell’ingrediente la buccia è trasformata in polvere, e sulla corona si trovano anche i semi e le erbe spontanee. Per tutto il menu l’interazione con la sala è costante: in questo caso, viene versato sugli spaghetti di zucca, all’interno dell’anello vegetale, un infuso caldo di kombucha e spezie.

Zucca e spezie – Foto Annalisa Cavaleri

E, se tra le parole chiave del lusso c’è la capacità di suscitare un ricordo d’infanzia per generare emozione, in questo caso il piatto è completato da un finto formaggio a base mandorla incartato nella foglia argento, a ricordare il “formaggino” che si metteva, da piccoli, nella pastina in brodo. Cortocircuiti emotivi che dimostrano, ancora una volta, come i veri luxury food siano “macchina del tempo”, per ricollegarci a momenti in cui la gioia era più diretta e immediata, basata sulla semplicità. Il lusso è tempo e “tornare bambini” è il lusso più grande. Un ottimo piatto completamente vegetale, senza alcun ingrediente di origine animale.

Omaggio a Marchesi: “Achromes” dal branzino al sedano rapa

Il vegetale è declinato anche come omaggio al Maestro Marchesi, per non perderne la memoria. L’ispirazione sono le “Achromes di branzino”, piatto dedicato all’amico Piero Manzoni e alle sue “Achromes alla francese”, quadri bianchi o, meglio, “senza colore”, con increspature visibili che Marchesi applicava ai filetti di pesce – branzino e salmone – tagliati in modo obliquo e disposti in un pattern. Non erano piatti, ma ispirazioni, tasselli che avevano come obiettivo la categorizzazione di un nuovo sapere culinario.

L’omaggio in chiave vegetale dello chef Alberto Quadrio di “Achromes di branzino” di Gualtiero Marchesi, con sedano rapa trattato come un lardo, pinoli, rosa, tartufo nero – Foto Annalisa Cavaleri

Chef Quadrio ne dà un’interpretazione creativa, ancora una volta 100% vegetale: le sfoglie di sedano rapa, trasparenti, sovrapposte, sono trattate come un lardo, impreziosite con pepe rosa, rosa, punte di tartufo nero.

La Presse canard: una nuova interpretazione

Il ricordo di Marchesi – per chi ha frequentato il ristorante in Albereta – à la press canard, che il Maestro amava utilizzare in sala, spiegarne il movimento e la funzione applicata alla preparazione de La Canard à la presse. Il piatto, infatti, di scuola francese, si basava sulla doppia cottura delle carni dell’anatra – il petto cotto velocemente per restare al rosa e la coscia morbida in confit – con il fondo di anatra unito ai liquidi estratti dalla carcassa fatta a pezzi e schiacciata nella pressa. Un unicum che pochi ristoranti propongono in Italia (tra le mosche bianche il San Domenico di Imola).

La presse canard per il piatto della pasta ripiena d’anatra e il suo speck, con riduzione del fondo e arancia bruciata

Anche in questo caso, lo chef Quadrio parte dalla tecnica per arrivare a un uso diverso e creativo: nella pressa in sala, infatti, viene schiacciata un’arancia bruciata che contiene i succhi già estratti dell’anatra. A sorpresa, al centro del piatto non c’è l’anatra, ma dei Ravioli farciti di anatra e speck d’anatra (marinato e prodotto dalla cucina), arricchito dal liquido intenso che esce dalla pressa.

Meno rotondo e più basato sui contrasti lo Spaghetto tiepido – un’altra citazione di Marchesi con che variava la temperatura dello spaghetto – condito con erbe amare – tarassaco cicoria foglia di  senape e rafano piccante – con la salsa con predominanza di passion fruit e senape per il contrasto acido.

Omaggio al territorio: la pecora gigante bergamasca in due servizi

Poesia del territorio è la Pecora gigante bergamasca, allevata in modo etico e naturale da Silvestro Maroni, servita in due servizi, per una valorizzazione totale dell’animale. Il primo passaggio è il controfiletto, la salsiccia di pecora fatta in casa con marmellata di cipolle agrodolci, gli arrosticini su stecco di rosmarino, per finire con cavolo nero, erbe, purè di ortica e il fondo della pecora.

Pecora gigante bergamasca, primo servizio – Foto Annalisa Cavaleri

L’amore per la Francia ritorna nel secondo passaggio: il Filetto di pecora gigante bergamasca in crosta. Al tavolo – ancora una volta un piatto che diventa interattivo ed esperienziale – viene tagliato sul carrello. In aggiunta, lo stracotto di cosce e spalla di pecora in foglie verza e cavolo nero, pure di barbabietola e salsa mediterranea – pomodoro cipolla caramellata olive capperi fondo pecora – che ha alla base i pomodori raccolti in estate nell’orto della tenuta, trasformati in confit.

Pecora gigante bergamasca in crosta, secondo servizio – Foto Annalisa Cavaleri
Il servizio in sala della Pecora bergamasca con il sous chef Ferdinando Giovetti.


Il pane e la pasticceria

Panificazione e pasticceria meritano un discorso a sé: sono curati da Camilla Guarneri, giovane pasticciera con esperienze importanti come Gucci Osteria con Massimo Bottura, Heinz Beck al St. George Restaurant e Le Calandre con Massimiliano Alajmo.

Grissini di mais nero spinoso, macinato nell’antico mulino ad acqua del 1500 dei Tognali, molitori da otto generazioni. Parte del servizio del pane con la ciabatta e la focaccia – Foto Annalisa Cavaleri

Come avviene per il “formaggino” in foglia argento, con lei il ritorno all’emozione e al passato si ritrova nella ciabatta all’italiana, croccante, tagliata al tavolo. Quel rumore evoca le merende del pomeriggio e le colazioni più sane, gli spuntini di mezzanotte senza troppi fronzoli. Sono belle anche le briciole, che riempiono il tavolo. In accompagnamento, l’Olio di Mariella, autoprodotto nella tenuta in piccolissima quantità, cibo sacro, impreziosito con un battuto di erbe spontanee ad esaltarne la componente polifenolica. Il soufflè alla vaniglia è eseguito con precisione e accompagnato da un sorbetto di pere al vino rosso, senza l’aggiunta di zucchero bianco, per una pasticceria che punto sull’utilizzo della dolcezza intrinseca della frutta.

L’etica del lavoro è imprescindibile nel lusso e chef Quadrio la dimostra con una pagina dedicata agli “amici produttori”, co-protagonisti del viaggio gastronomico: Aldo, fornitore delle zucchine e altre verdure, Andrea, i pomodori e oltre, Danilo e la carne etica, Filippo che produce la carta del menu, Ivano, custode degli orti de L’Albereta, Giuseppe, scopritore di sapori, Laura e Sabrina, coltivatrici di aromi e piccoli frutti, Nando e Andrea Soardi, storici pescatori del lago d’Iseo, Silvano, re dell’alpeggio.

Stessa importanza al gruppo di lavoro di sala e cucina, che si dimostra solido. Se la tre è il numero perfetto, infatti, Quadrio può contare su due giovani – ma storici – collaboratori: il sous chef Ferdinando Giovetti e la pastry chef Camilla Guarneri che, come abbiamo detto, si occupa anche della panificazione.

Luxury food: mente aperta, conoscenza e cibo per l’anima


La cucina di Alberto Quadrio è complessa e tecnica, va apprezzata dedicandosi appieno all’esperienza, nella piena dinamica del lusso. E’ una cena che richiede tempo, voglia di lasciarsi guidare nel percorso. I piatti non sono il “contorno” di un intrattenimento più ampio, ma il fulcro stesso della serata. Il target del ristorante è di conoisseur, di chi ama l’alta cucina, ha viaggiato, frequenta i ristoranti stellati Michelin e vuole dedicarsi al racconto dei piatti, scoprirne le sfumature, le complesse alchimie. Non è un ristorante per chi vuole sedersi con fare distratto, ma che richiede un approccio curioso e attento. Di portata in portata, se si ha voglia di seguire il racconto e il filo del discorso, il piacere aumenta, trasformando l’assaggio in percorso di conoscenza e crescita culturale del proprio vocabolario gustativo.

Info utili

L’Aurum

Via Vittorio Emanuele, 23, 25030 Erbusco BS

Per informazioni e prenotazioni
T. 030 7762665
ristoranti@albereta.it

Orari di apertura
a cena, tutti i giorni, tranne mercoledì, giovedì e domenica: dalle 19:30 alle 22:00
a pranzo, solo la domenica: dalle 12:30 alle 14:00 

Scopri il menu de L’Aurum qui e la carta vini

Sito web L’Aurum

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