La Guida Michelin racconta le tematiche che ispireranno i professionisti del settore, gli chef e i ristoranti per il 2025. Alcuni trend sono già stabilizzati, altri decisamente nuovi. Analizziamoli insieme.
Il mese di gennaio è sempre un momento in cui si guarda al futuro, per organizzare le strategie vincenti per distinguersi sul mercato. Ed un momento in cui, nel mondo della ristorazione, si cercano di identificare i Food trend globali per l’anno appena iniziato.
La Guida Michelin da sempre è in prima linea per raccontare i “modi di mangiare” e la loro evoluzione, senza dubbio tra le voci più autorevoli del segmento dei LUXURY FOOD, ha stilato una lista di food trend globali che ispireranno i professionisti del settore, gli chef e i ristoranti per il 2025. E se alcuni trend sono già stabilizzati, altri sono decisamente nuovi. Analizziamoli e approfondiamoli insieme, andando oltre l’articolo originale (che trovate qui). Questi argomenti sono approfonditi nel libro “Luxury Food. Le parole chiave nell’enogastronomia di lusso”, A.Cavaleri, FrancoAngeli, che trovate qui.
Ecco il recap dei trend 2025 nell’articolo:
1. La perfezione vegetale
2. La salute, il lusso del tempo
3. Gli ingredienti dimenticati, “inconsueti” e poco utilizzati
4. Approccio minimalista in pasticceria
5. Il ritorno della cottura alla fiamma
6. La forza del Sud-Est Asiatico: il nuovo laboratorio della gastronomia mondiale
7. Novità: la rinascita della cucina cinese
8. Street food edition: Tacos, Thai Grill e altri sapori dal mondo
9. Drink pairing che vanno oltre il vino
10. Il caviale? Dipende
1. La perfezione vegetale

Se il vegetale, un tempo, era un mero contorno perché nei piatti dei ricchi e dei potenti veniva celebrata la “proteina animale”, oggi non è più così. Il trend della valorizzazione del vegetale è sotto gli occhi di tutti e continuerà a illuminare il 2025. Piatti che diventano opere d’arte, come la Foglia di broccolo e anice di Niko Romito, tre stelle Michelin del ristorante Reale Casadonna a Castel di Sangro, ne sono l’esempio. E, in questo, gli chef italiani sono stati avanguardisti.
Il vegetale che diventa protagonista del piatto, e non umile comprimario, è la dimostrazione di un altro trend in crescita nel 2025: la salute. Il piacere del cibo, infatti, non può danneggiare il corpo, la nostra “casa più sacra”. Il lusso oggi è anche tempo, tempo di vita e tempo per sé, e non è lusso ciò che riduce il tempo su questa terra.
Esempi internazionali di questa evoluzione sono invece Plates a Londra, ristorante 100% vegano situato a Old Street e gestito dai fratelli Kirk e Keeley Haworth. La filosofia si concentra sulla creazione di una cucina a base vegetale innovativa e raffinata, con piatti come i Pomodori giapponesi con “ricotta” fermentata di anacardi, la “Bistecca” di funghi con mole di fagioli neri, la Lasagna di lenticchie e il dessert “A taste of unity”, una torta al cioccolato con ciliegie e gelato al cocco.
C’è poi Ark a Copenaghen, una delle mete fine dining più interessanti per chi ama la sperimentazione in questo tipo di cucina. Il ristorante è parte del gruppo Boden, che si concentra sulla sostenibilità, sulla riduzione degli sprechi alimentari e sulla creazione di un’esperienza culinaria immersiva. Qui la cucina all’avanguardia si unisce a un’atmosfera minimalista, a un design essenziale e a un profondo rispetto per la natura. L’esperienza gastronomica comprende sapori intensi, fermentazioni, affumicature e presentazioni artistiche con piatti come gli Asparagi danesi con emulsione di pinoli e erbe selvatiche, la Zucca affumicata con riduzione di funghi e tartufo nordico, i Ravioli ripieni di cavolo nero e miso serviti con brodo umami di alghe e funghi, la Barbabietola fermentata con olio di semi di girasole e aneto, fino al dessert a base di mousse di mandorla con caramello salato e sorbetto di olivello spinoso.
Situato a Grignan, il ristorante Le Clair de la Plume incarna perfettamente il concetto di “vegetale al centro” celebrando gli ingredienti della cucina mediterranea e i vini della Valle del Rodano. Stagionalità, territorio e sostenibilità sono le parole chiave del lusso secondo lo chef Benjamin Reilhes, che mette al centro dei piatti prodotti artigianali locali come l’olio d’oliva di Nyons, il pollame e le verdure della Drôme.
In Alsazia, Alchémille è un altro esempio di questa filosofia. Lo chef Jérôme Jaegle, originario di Kaysersberg e medaglia d’argento al Bocuse d’Or France nel 2023, ha aperto il ristorante nel 2015 insieme a sua moglie Marie Laure, conquistando una stella Michelin nel 2017 e la stella verde per la sostenibilità nel 2020. Gli ortaggi, le erbe e i fiori provengono dai suoi giardini coltivati in permacultura, le tecniche sono fermentazione, infusione e maturazione. L’esperienza comincia già dal giardino di erbe e piante selvatiche che introduce al ristorante, dove vengono proposti tre menù degustazione – “Rehbach”, “Geissabrenala” e “Layon” – ispirati ai prodotti disponibili di giornata. Il menù “Layon” offre un percorso gastronomico in dieci portate, tutte in totale autoproduzione. Tra i piatti più significativi ci sono gli Asparagi con melissa, sanglier e menta, che uniscono note fresche e terrose.
Tra i ristoranti che interpretano meglio questo trend c’è ancora il Joia di Milano, storico ristorante stellato vegetariano – il primo a conquistare la stella Michelin in Europa – che oggi vive un cambio generazionale con gli chef Raffaele Minghini e Sauro Ricci, e La Rei Natura di Michelangelo Mammoliti, due stelle Michelin.
Sempre più all’avanguardia la cucina vegetale de I Tenerumi, ristorante situato a Lampedusa e guidato da Davide Guidara con un approccio profondamente legato al territorio, è un inno alla biodiversità isolana e alla valorizzazione degli ingredienti locali, con tanta sperimentazione. La cucina de I Tenerumi non è semplicemente vegetariana, ma porta avanti una ricerca sulla materia prima che trasforma ingredienti umili in esperienze gastronomiche raffinate e contemporanee, dimostrando come la cucina vegetale possa essere innovativa, radicata nel territorio e sostenibile.
Ci sono anche proposte più “pop” come la cucina vegetale di Al Tatto. In un luogo curato ma informale, la materia prima è trattata con una profondità di pensiero che va oltre la semplice assenza di carne, trasformando ingredienti di origine vegetale in esperienze gastronomiche complesse e strutturate. Il ristorante si distingue per un approccio che valorizza la biodiversità agricola, la fermentazione come tecnica di amplificazione del gusto e l’uso di ingredienti spesso dimenticati o sottovalutati, come radici, fiori ed erbe spontanee. Un esempio iconico è la zucca affumicata con riduzione di funghi, un piatto che racchiude dolcezza, umami e una straordinaria complessità aromatica. Con questa visione, il ristorante non si limita a seguire un trend, ma ridefinisce il concetto di cucina vegetale, portandolo ai livelli più alti della ristorazione contemporanea. La lista di attesa è lunga, segno di un trend decisamente stabilizzato.

Tra gli chef storicamente impegnati nella valorizzazione del vegetale e della sostenibilità, Mauro Colagreco rimane un punto di riferimento con la sua filosofia profondamente legata alla natura e alla permacultura. Tre stelle Michelin con il suo ristorante Mirazur a Mentone, in Francia, è stato un pioniere nell’esplorazione dell’universo vegetale e nel promuovere un approccio gastronomico responsabile. Nei suoi orti coltiva oltre 150 specie di erbe, frutti e verdure seguendo pratiche di permacultura e biodinamica, per offrire una cucina che celebra la biodiversità e riduce l’impatto ambientale. Il suo orto rigenera il suolo attraverso la rotazione delle colture, e il ristorante propone un menu che varia in base alle fasi lunari, con piatti come il “Ravanello fermentato con emulsione di fiori di senape”, che esalta la biodiversità e le proprietà nutrizionali delle piante spontanee.Il suo impegno per la sostenibilità si concretizza anche nell’eliminazione della plastica monouso dal ristorante e nella collaborazione con produttori locali che condividono la sua visione ecologica. Colagreco è stato il primo chef a ricevere la certificazione “plastic free”, dimostrando un impegno concreto nella riduzione dei rifiuti. Il suo coinvolgimento in progetti come “Piantiamo il futuro”, in collaborazione con Relais & Châteaux e Slow Food, sottolinea l’importanza di una cucina sempre più vegetale e consapevole, pensata per la salute dell’uomo e la tutela dell’ambiente.
Un altro nome di riferimento è Rodolfo Guzmán, chef del Boragó a Santiago del Cile, che lavora con ingredienti autoctoni della Patagonia e della Cordigliera delle Ande, privilegiando prodotti selvatici e raccolti in modo sostenibile. Il suo piatto “Zucca affumicata con latte di quinoa e semi di murta” è un esempio di come la cucina vegetale possa essere potente ed evocativa, senza bisogno di proteine animali.
Anche nel Nord Europa, René Redzepi con il Noma ha abbracciato la rivoluzione vegetale, con stagionalità estreme e tecniche di fermentazione che rendono protagonisti ortaggi e piante spontanee.
Questa nuova visione del lusso enogastronomico, dunque, non è più legata all’opulenza e all’abbondanza, ma alla consapevolezza e alla qualità. Il tempo, la salute e il rispetto per l’ambiente diventano i nuovi parametri del vero lusso, in un’epoca in cui la sostenibilità è la chiave del nostro futuro gastronomico. Riprenderemo il trend della salute nel prossimo trend: l’approccio minimalista alla pasticceria.
2. La salute, il lusso del tempo
Un cambio di visione rispetto al passato si vede anche nell’attenzione al benessere. Se un tempo chi era più ricco faceva il possibile per mangiare una maggiore quantità di carne e di proteine animali, oggi l’alimentazione delle classi sociali più evolute guarda al vegetale come scelta primaria, per il bene sia dell’essere umano che del pianeta. E, anche se il “100% vegan” sembra essere ancora una chimera, le scelte diventano comunque più consapevoli, anche quando si mangia carne: allevamenti che rispettano l’animale durante la sua vita, riduzione del consumo, piatti gourmet che invertono le proporzioni e rendono il vegetale protagonista, relegando la carne a un ruolo secondario o di accompagnamento. Non si tratta solo di rispetto per gli equilibri del pianeta, ma anche dell’idea che il cibo di lusso debba produrre salute, regalarci gioia e più tempo da vivere su questa terra.
Oggi, in ambito enogastronomico, il vero lusso è intriso di consapevolezza etica, in un percorso che procede di pari passo con il mondo della moda. Un abito di marca non può essere considerato di lusso se prodotto senza rispettare i diritti dei lavoratori, perché il lusso deve creare un sistema sinergico di benessere attorno a sé. Nel cibo, ci si dovrebbe chiedere: come è stato coltivato quel prodotto? Come è arrivato fino a noi? Quali politiche del lavoro sono state applicate e che trattamento hanno ricevuto i lavoratori? Come sono stati accuditi gli animali? Hanno vissuto liberi o sono stati confinati in spazi angusti? La risposta a queste domande determina se siamo di fronte a un vero lusso o a un simulacro che nasconde contraddizioni dietro una facciata patinata.
Gli chef diventano così i primi ambasciatori di questa nuova filosofia di rispetto, che parte dal campo e arriva alla tavola. Si affidano a piccoli produttori, stringono con loro legami personali, comprendendo che agricoltori, allevatori e pescatori sono le vere sentinelle del territorio e i garanti dell’eccellenza della materia prima. E tutto questo si traduce nella filosofia “meno ma meglio” e più salute per chi mangia.
3. Gli ingredienti dimenticati, “inconsueti” e poco utilizzati
Tra i trend del 2025, resta la volontà degli chef di valorizzare ingredienti dimenticati, poco utilizzati, inconsueti. Insomma, il “pensiero laterale”, tipico del marketing di successo – cioè guardare da un “altro punto di vista” a cui nessuno aveva mai pensato – sarà fonte di lusso anche quest’anno. Come fanno gli artisti. Gli ingredienti rari, insoliti e poco conosciuti conquistano il palcoscenico gastronomico del 2025, trasformando il concetto di lusso in un viaggio attraverso biodiversità e riscoperta. Non si tratta di eccentricità fini a sé stesse, ma di una ricerca che porta alla luce prodotti dimenticati, varietà autoctone e tecniche ancestrali.
A livello internazionale, Rasmus Munk, al due stelle Michelin Alchemist di Copenaghen, porta all’estremo questa tendenza, lavorando con ingredienti come il sangue di renna liofilizzato, che diventa parte di un piatto evocativo che riflette sulla sostenibilità della caccia nordica, o la pelle di latte fermentata, trasformata in una cialda lattiginosa che accompagna crostacei dalle profondità del Mare del Nord. In Francia, Alexandre Mazzia, tre stelle Michelin con AM par Alexandre Mazzia a Marsiglia, esplora spezie rare e ingredienti vegetali inconsueti, come il pepe voatsiperifery del Madagascar, che utilizza per esaltare un dessert a base di cioccolato e fava tonka, creando un contrasto tra dolcezza e note resinose.
Anche nelle Americhe questa ricerca sta ridefinendo il concetto di alta cucina. Virgilio Martínez, non ferma mai la sua ricerca e : la mashua nera, un tubero andino con note piccanti, diventa protagonista di un piatto che omaggia la biodiversità delle Ande, mentre il cushuro, un’alga gelatinosa che cresce nei laghi d’alta quota, viene utilizzata per la sua texture sorprendente e il sapore minerale deciso. Lo chef ha creato un proprio laboratorio culinario chiamato Mil Centro, situato a 3.568 metri sul livello del mare vicino alle rovine di Moray, nel distretto di Maras, Cusco, in Perù. Lo spazio ha una duplice funzione ed è sia ristorante che da centro di ricerca, con una continua esplorazione degli ingredienti autoctoni delle Ande peruviane. Trai menu degustazione, “Ecosistemi di altitudine”, composto da otto portate che rappresentano diversi ecosistemi di alta quota, utilizzando ingredienti locali “estremi” ma decisamente autentici, per raccontare la biodiversità peruviana. Senza dimenticare che Martínez ha fondato Mater Iniciativa, un centro di ricerca interdisciplinare guidato da sua sorella, Malena Martínez. La forza del progetto è un team multidisciplinare, composto da biologi, antropologi, chimici, chef e altri professionisti, viaggia attraverso il Perù alla ricerca di ingredienti unici e dimenticati, con l’obiettivo di integrarli nella cucina contemporanea e promuovere la biodiversità del paese.

Dan Barber, al Blue Hill at Stone Barns negli Stati Uniti, coltiva varietà antiche di cereali dimenticati come il Kernza, un grano perenne che abbina a verdure invecchiate in celle di maturazione, dando vita a un pane dal profilo aromatico straordinario.
Questo trend non è solo una questione di “esotismo” o di sperimentazione fine a sé stessa: è un segnale forte del ritorno alla conoscenza profonda della materia prima e del territorio, una spinta a valorizzare ciò che la natura offre senza omologazioni, esplorando ingredienti fuori dal comune per scrivere il futuro della gastronomia.
4. Approccio minimalista in pasticceria

Il trend della salute e del benessere cambia le carte in tavola anche in pasticceria. Lo sostiene da anni il Maestro Iginio Massari, che ha rinnovato la pasticceria italiana tradizionale, rendendola contemporanea e al passo con le nuove esigenze alimentari. La sua opera in più volumi Non solo zucchero suggerisce un approccio consapevole e bilanciato all’uso dello zucchero nelle preparazioni dolciarie. In particolare, nel secondo volume, Massari esplora diverse macro-aree della pasticceria, tra cui lievitati, sfoglia, marmellate, confetture, gelatine e glasse, offrendo una visione completa e approfondita delle tecniche e degli ingredienti utilizzati. Uno dei punti chiave della sua filosofia è l’idea che il dolce debba essere un fine pasto leggero, capace di appagare l’occhio e il palato senza risultare eccessivamente saziante. Questo concetto si riflette nella tendenza dei “dolci poco dolci” nei ristoranti stellati, dove il dessert chiude il pasto con eleganza e misura.
Tra i precursori di questa tendenza c’è Gianluca Fusto, che già nel 1996 creava dessert a base vegetale, riducendo al minimo l’uso dello zucchero raffinato. Un esempio iconico del suo approccio è il dessert Menta, piselli e cetriolo, dove la dolcezza naturale dei piselli e delle carote diventa il fulcro della preparazione, eliminando la necessità di zuccheri aggiunti.
Anche in Francia, patria della pasticceria caratterizzata da zucchero e burro, le tendenze stanno cambiando. Molti pastry chef adottano un approccio minimalista, riducendo l’uso dello zucchero raffinato e privilegiando dolcificanti naturali, come la frutta e lo zucchero di betulla (xilitolo), con un indice glicemico più basso. L’obiettivo è creare dessert più leggeri e salutari, senza compromettere il gusto o la qualità, tenendo conto del fatto che il dolce arriva alla fine di un percorso gastronomico di molte portate.
Un esempio perfetto di questa filosofia si trova al Pavyllon, il ristorante parigino di Yannick Alléno, dove la pasticceria di Maxime Vaslin incarna la ricerca di equilibrio tra leggerezza e intensità di sapore. Il suo Soufflé agli agrumi e zafferano, servito con limone candito e perle di arancia rossa, è una dimostrazione di come ingredienti naturali possano conferire dolcezza e complessità senza ricorrere a eccessi di zucchero.
All’interno di questa evoluzione rientrano anche nomi come Cédric Grolet, il celebre pastry chef dell’Opéra di Parigi, che ha rivoluzionato la pasticceria francese con i suoi dessert ispirati alla frutta, nei quali la dolcezza deriva esclusivamente dagli zuccheri naturali degli ingredienti stessi. Il suo Noisette, una sfera di nocciola con un cuore cremoso, esalta la materia prima senza bisogno di eccessi dolcificanti.
In Spagna, al Lasarte di Martín Berasategui, il pasticcere Xavi Donnay propone dolci che rispettano il principio della leggerezza, come il Biscotto alla mandorla con sorbetto di limone e basilico, dove l’equilibrio tra acidità e dolcezza è ottenuto grazie alla naturale freschezza degli ingredienti.
Questa nuova direzione della pasticceria, che punta sulla leggerezza, sulla valorizzazione degli zuccheri naturali e sulla riduzione degli eccessi, non è solo una moda, ma una risposta concreta alle esigenze di una gastronomia più sana e sostenibile, senza rinunciare al piacere del dessert.
5. Il ritorno della cottura alla fiamma

Un trend già attivo che non perderà la sua forza. Non c’è limite alla riscoperta del passato. Il luxury food può attingere non solo alla storia familiare, ma anche a quella dell’umanità stessa. Un’estremizzazione del concetto di recupero della tradizione è il trend che riporta in auge l’uso ancestrale del fuoco nell’alta cucina. Fin dall’inizio della civiltà, il fuoco è stato il fulcro attorno al quale si sono formate le comunità: davanti alle fiamme si raccontavano storie di vita, gli anziani tramandavano ai giovani i saperi fondamentali per crescere e diventare uomini. Senza scuole né carta e penna, il sapere passava attraverso storie mitiche e aspirazionali. L’autrice Terry Tempest Williams ha affermato che “lo storytelling è la più antica forma di educazione”, e forse proprio per questo il fuoco tocca corde profonde nel nostro inconscio. Basta osservarlo: chiunque si sia trovato davanti a un camino acceso ha sperimentato quell’ipnosi primordiale che le fiamme in movimento sanno suscitare. Un fascino che i ristoranti “romantici” di una volta conoscevano bene, facendo cenare gli innamorati a lume di candela. L’amore è desiderio sottile, fatto di luci soffuse, ombre e mistero. Anche questa, in fondo, è sempre stata una forma di marketing.
Oltre alla dimensione emotiva e narrativa, il fuoco ha trasformato l’alimentazione umana, rendendo gli alimenti più digeribili e assimilabili. Dalla cottura diretta sulle braci si è passati a metodi più raffinati grazie all’invenzione di contenitori resistenti al calore, che hanno portato alla nascita di piatti tipici legati ai territori. Come scrive Claude Lévi-Strauss nel saggio Il crudo e il cotto, l’invenzione della cottura ha segnato un cambiamento irreversibile nella società.
L’alta cucina ha attraversato un lungo periodo di sofisticazione tecnologica, con tecniche come la cottura al roner, che prevede la cottura sottovuoto a bassa temperatura per preservare la struttura e i nutrienti degli alimenti. Ma la storia è ciclica, e al tramonto del roner si sta riscoprendo la forza primordiale del fuoco. Quel sapore inconfondibile di brace e il tocco affumicato risvegliano qualcosa di ancestrale, regalando emozioni che le tecniche moderne non riescono a replicare.
Uno degli chef che ha reso questa tecnica un’arte è Victor Arguinzoniz, considerato il miglior asador del mondo, che ha conquistato le classifiche internazionali con la sua visione originale della cucina alla brace. In Italia, questa filosofia trova un interprete perfetto in Errico Recanati, che nel suo ristorante Andreina trasforma il fuoco in lusso, attraverso una rilettura personale della tradizione e degli ingredienti del territorio. Se un tempo il fuoco era applicato quasi esclusivamente alle carni, Recanati ha dimostrato che anche i piatti vegetariani possono esprimere al meglio la potenza della fiamma. Un esempio è il suo Cavalieri ai sette pepi, una pasta cotta alla brace in un processo lungo e meticoloso che prevede quattro fasi: una bollitura iniziale di quattro minuti, un’immersione in acqua a sessanta gradi per sei minuti, un raffreddamento per bloccare la cottura e, infine, il passaggio diretto sulla brace. È la dimostrazione di come il fuoco possa essere applicato alla cucina italiana in modo innovativo e raffinato. Il ristorante Andreina, insignito della stella Michelin nel 2013, è rimasto coerente con questa filosofia, proponendo esclusivamente piatti cucinati alla brace.
Un altro chef italiano che ha fatto del fuoco il suo marchio di fabbrica è Edoardo Tilli, del ristorante Podere Belvedere, che ha eliminato completamente l’elettricità dalla sua cucina per una scelta di sostenibilità radicale. Anche l’acqua per la pasta viene scaldata su una cucina economica a legna, confermando un ritorno totale ai metodi ancestrali.
Se l’Italia sta riscoprendo il fuoco in chiave gourmet, l’Asia ne è da sempre maestra. Tra i ristoranti più innovativi da tenere d’occhio nel 2025 c’è Bar Kar a Kuala Lumpur, aperto nel 2023 e specializzato in carni stagionate e frutti di mare cotti su una griglia a legna. Il nome stesso, Bar Kar, unisce il concetto di “bar” a bakar, termine malese che significa “fiamma“, incarnando l’essenza della cucina a fuoco vivo. L’ambiente richiama la cottura primordiale con un ingresso ad arco fiancheggiato da tronchi di legno, mentre il bancone centrale da 18 posti permette agli ospiti di osservare gli chef all’opera. Tra i piatti simbolo del locale, le ostriche locali vengono cotte al momento con grasso di pollo fiammeggiante, utilizzando un flambadou, una tecnica che conferisce aromi ricchi e affumicati. Per un’esperienza più immersiva, lo Chef’s Table offre una disposizione a “U” dove fino a 20 ospiti possono assistere da vicino alla preparazione dei piatti sulla fiamma viva.
Anche in Inghilterra la cottura alla brace sta vivendo un momento di grande attenzione. A Londra, il ristorante Brat, guidato dallo chef Tomos Parry, si ispira alla cucina basca, utilizzando una griglia a carbone per esaltare la qualità degli ingredienti. Il piatto simbolo è il rombo alla brace, cotto intero e servito con patate novelle e salsa verde, mentre tra le proposte più apprezzate c’è il pane tostato con midollo osseo, che combina il croccante del pane affumicato con la morbidezza del midollo.
A Brighton, Embers celebra il fuoco con una cucina essenziale e legata ai legni locali, utilizzati per conferire aromi distintivi alle preparazioni. Il menu varia stagionalmente, ma tra le creazioni più iconiche spiccano le costine di maiale affumicate, marinate e cotte lentamente sulla brace con una glassa agrodolce, e le verdure di stagione grigliate, condite con erbe fresche e olio d’oliva.
In Giappone, la tecnica del fuoco incontra la raffinatezza della cucina francese al ristorante La Bûche di Kyoto, dove l’affumicatura e la brace sono strumenti per valorizzare ingredienti locali. Il petto d’anatra viene marinato nel miso e poi cotto alla brace, mentre i funghi shiitake grigliati su carbone vengono accompagnati da una delicata salsa di soia.
Negli Stati Uniti, il Texas mantiene viva la tradizione del barbecue, tanto che la Guida Michelin ha recentemente incluso 28 ristoranti texani dedicati all’arte della cottura lenta su legna. Tra i piatti simbolo, il brisket affumicato cuoce per ore su legna di quercia, ottenendo una crosta croccante e un interno succoso, mentre le salsicce artigianali, servite con contorni classici come fagioli e insalata di cavolo, esprimono il perfetto equilibrio tra rusticità e perfezione tecnica.
Questa tendenza globale dimostra che la cucina alla brace non è solo un ritorno alla tradizione, ma una reinterpretazione moderna che fonde tecnica e istinto, territorio e innovazione. Il fuoco non è più solo un mezzo di cottura, ma un linguaggio attraverso cui gli chef raccontano storie di gusto e cultura, risvegliando un’eredità ancestrale che continua a evolversi nel tempo.
6. La forza del Sud-Est Asiatico: il nuovo laboratorio della gastronomia mondiale

Il Sud-Est Asiatico si sta affermando come una delle regioni più influenti nel delineare il futuro della gastronomia mondiale. La sua cucina, profondamente radicata nella biodiversità locale, valorizza ingredienti poco conosciuti e tecniche ancestrali che si fondono con approcci innovativi. Qui, la tendenza non è solo quella di recuperare sapori dimenticati, ma di costruire un linguaggio gastronomico nuovo, sostenibile e autentico, capace di esaltare la ricchezza naturale e culturale della regione.
In prima linea in questa rivoluzione c’è Dewakan, il ristorante di Kuala Lumpur guidato dallo chef Darren Teoh, che ha costruito la sua filosofia sul rispetto del patrimonio malese e sull’utilizzo di ingredienti autoctoni spesso trascurati. Il nome stesso del ristorante, fusione tra dewa (dio) e makan (cibo), riflette una missione chiara: onorare la terra attraverso la cucina. Dewakan adotta un approccio “nose-to-tail”, sfruttando ogni parte degli ingredienti per ridurre al minimo gli sprechi e promuovere la sostenibilità. L’impegno del ristorante si estende oltre il menu, con una costante ricerca di trasparenza e un utilizzo mirato dei social media per sensibilizzare il pubblico sulle risorse locali, cercando di ridurre la dipendenza dell’industria dalle importazioni. Tra i piatti simbolo, il Raviolo di lingua d’anatra con ubi kemili e maman in agrodolce esprime perfettamente la fusione tra delicatezza e intensità di sapore, grazie alla dolcezza dell’ubi kemili, una varietà locale di patata, e all’acidità delle foglie di maman sott’aceto. Un altro esempio è il germogli di bambù con brodo di sgombro salato, un piatto che trasforma ingredienti umili in un’espressione gastronomica contemporanea.
A Singapore, un’altra realtà sta ridefinendo il linguaggio del lusso sostenibile in cucina. Seroja, aperto nel 2022 dallo chef Kevin Wong, è una dichiarazione d’amore all’Arcipelago Malese. Il nome del ristorante, che significa “fiore di loto“, simboleggia rinascita e purezza, concetti che si riflettono nel menu degustazione incentrato sui frutti di mare, trattati con tecniche raffinate e accostamenti che ne esaltano la purezza. Qui, il pescato locale viene celebrato con l’uso di spezie e verdure stagionali, mentre gli scarti diventano parte integrante della cucina, trasformati in bevande analcoliche fermentate o in elementi decorativi (un altro trend). Uno dei piatti più iconici è il pesce tegola croccante con gulai al pepe bianco di Sarawak, un omaggio alla tradizione malese che unisce la croccantezza della pelle del pesce alla profondità aromatica di un curry speziato. Un altro capolavoro è rappresentato dalle capasante arrostite su legno di mangrovia con salsa di foglie di laksa, un piatto che incarna la fusione tra mare e terra, con il profumo affumicato della mangrovia che amplifica la dolcezza naturale delle capesante, mentre le foglie di laksa aggiungono un tocco erbaceo e avvolgente.
In entrambi i ristoranti, la cucina diventa un veicolo di narrazione culturale, capace di trasportare l’ospite in un viaggio attraverso le radici più profonde del Sud-Est Asiatico. Non si tratta solo di innovazione, ma di un recupero consapevole di ingredienti unici che rischierebbero di perdersi nell’omologazione globale. Radici di piante selvatiche, crostacei dimenticati, spezie rare e foglie commestibili che un tempo erano appannaggio della cucina domestica stanno tornando protagonisti grazie a chef visionari che comprendono l’importanza della biodiversità e della sostenibilità. In questa parte del mondo, il futuro della gastronomia sta prendendo forma attraverso un dialogo costante tra tradizione e avanguardia, riscoperta e innovazione.
Il Sud-Est Asiatico sta lasciando un’impronta sempre più marcata nell’alta cucina italiana, non come semplice contaminazione esotica, ma come fonte di ispirazione per tecniche, ingredienti e filosofie gastronomiche che si fondono con la tradizione italiana. Moreno Cedroni, due stelle Michelin con Madonnina del Pescatore, è da tempo un esploratore delle tecniche di fermentazione asiatiche, che ha saputo adattare alla sua visione contemporanea della cucina di mare. Il suo Raviolo di calamaro con latte di cocco, lime kaffir e peperoncino omaggia la tradizione thailandese, mantenendo però l’eleganza della cucina italiana. Il nuoc mam, salsa di pesce fermentata tipica del Vietnam, viene usato a gocce per amplificare l’umami naturale dei piatti senza prevaricarne l’equilibrio.
Anche Antonio Guida, chef de Il Seta al Mandarin Oriental di Milano, ha inserito ingredienti asiatici nei suoi menu degustazione in maniera raffinata. Il suo granchio reale con brodo di dashi ai funghi shiitake e fiori di galanga è un incontro perfetto tra Oriente e Occidente: la galanga, parente speziata dello zenzero, aggiunge una nota pungente al brodo umami, creando un’armonia profonda.
Terry Giacomello, noto per la sua cucina sperimentale, ha approfondito l’uso di ingredienti fermentati del Sud-Est Asiatico, come il tempoyak, una pasta di durian fermentato proveniente dalla Malesia. Questo ingrediente, dal profilo aromatico intenso, viene dosato con maestria nei suoi piatti di pesce, trasformando un prodotto di nicchia in una componente sofisticata dell’alta cucina.
Questa apertura al Sud-Est Asiatico non pare essere una semplice moda passeggera per il 2025, ma una direzione consapevole dell’alta cucina italiana, che abbraccia la biodiversità, le tecniche di fermentazione e la valorizzazione degli ingredienti attraverso nuove prospettive. In un mondo dove il lusso gastronomico si misura sempre più in sostenibilità e ricerca, questi chef dimostrano come l’incontro tra culture possa generare piatti che sono al tempo stesso innovativi e profondamente legati alla tradizione.
7. La novità: la rinascita dell’alta cucina cinese

E’ tra le novità più interessanti: la rinascita dell’alta cucina cinese. La cucina cinese è oggi protagonista di una vera e propria rivoluzione. Nel segmento lusso, sia moda che culinario, la Cina, nel corso della storia, ha sempre avuto un ruolo da protagonista: basti pensare alla Via della Seta, ai tessuti artigianali pregiati che vestivano gli imperatori e le persone più potenti e importanti della terra: imperatori, re, condottieri e nobili. Perché, quindi, tutto questo heritage sembra essere stato dimenticato e ci sono pochi brand di abbigliamento di lusso cinese, a parte Shanghai Tang? La risposta è l’aver rinnegato le parole chiave che danno fondamento al lusso: valorizzazione di creatività, identità, unicità, storia e tradizioni. In una bulimia consumistica, la Cina ha rinnegato la propria storia e il proprio passato, aprendo le porte ai brand esteri, senza crearne di propri. Ma negando le radici la via è solo una: quella verso il baratro.
Anche in cucina, ci sono tradizioni millenarie come la Peking Duck, un piatto raffinatissimo, che richiede minimo tre giorni di preparazione e una tecnica culinaria complessa, tramandata di generazione in generazione, come un segreto prezioso. La Cina ha completamente dimenticato questo heritage, ha dimenticato le proprie radici, per seguire un’orda consumistica che l’ha trasformata nella “Fabbrica del mondo”.
E non importa che siti di vendita come “Temu”, investano centinaia di migliaia di euro in Occidente per raccontare che si può “comprare come un Billionaire”: i prodotti venduti sul sito sono a basso prezzo, di pessima qualità, creati in serie da persone a cui non viene garantito nessun diritto del lavoro e, molto spesso, nemmeno umano.
E come la moda cinese in Italia viene comunemente vista come produzione in serie di bassa qualità, nell’ambito della ristorazione, quando si parla di “cibo cinese”, viene in mente un pasto sì gustoso, ma anche poco sano e non particolarmente curato. Giulia Liu ha voluto smentire questa concezione superficiale. Ha deciso di attingere alle antiche ricette di famiglia per ripensarle in chiave contemporanea, contaminando il cibo della sua infanzia in Cina con la sua terra di adozione, Milano. Da questo cortocircuito emotivo e gustativo nascono piatti icona che condensano il messaggio di Gong. Il signature dish, infatti, si chiama “Raviolo d’oro” ed è un omaggio a uno dei piatti più iconici della cucina milanese: il risotto giallo con l’ossobuco. Il punto di partenza sono i dim sum cinesi, cioè piccoli antipasti – tra cui molti ravioli – che danno inizio al pasto, in attesa della portata principale. Frutto dell’unione tra le due culture, il “Raviolo d’oro” è un dim sum in pasta cristallo allo zafferano italiano, ripieno di ragù di ossobuco, su crema di risotto alla milanese. La presentazione richiama “Riso, oro e zafferano” di Gualtiero Marchesi, per continuare a rendere onore a un altro mito italiano. Questo piatto è l’esempio di come si possa creare un mix positivo, attingendo alle proprie radici (quindi partendo dai classici dim sum) e unendole alle tradizioni della terra d’adozione (col risotto alla milanese).
L’analisi, sempre più approfondita, sui piatti dell’antica Cina, rivisti in chiave creativa e di eccellenza, porta all’ideazione di un’altra icona: la “Peking duck”. Il piatto ha in sé grandi potenzialità di storytelling, visto che, un tempo, era riservato agli imperatori cinesi e a nessun altro. Già questo fa capire quanto sia raro ed esclusivo. La sostenibilità è garantita da anatre certificate da allevamento biologico. Alla “Peking Duck” viene dedicato un intero menu, in chiave antispreco: la pelle croccante diventa chips, le ossa sono usate per il brodo, le parti interne meno nobili ma gustose – come le interiora –, lavorate con cura, diventano il ripieno dei ravioli. L’experience è stata studiata con attenzione per generare un ricordo indelebile. Dopo aver servito i brodi e gli antipasti caldi e freddi, infatti, l’anatra intera viene porta- ta in sala, trasportata su un carrello, con solennità. La titolare in persona, con gesti precisi, la taglia davanti ai clienti e la porziona nei piatti, trasformando il momento in uno show. La luce tremolante delle candele sul piano di lavoro amplifica la sensazione magica, rendendo l’experience completa. In questo momento il fascino dell’altrove diventa totale e ci si sente immersi in un rito di altri tempi. Come abbiamo ricordato, il lusso non è per tutti e, infatti, il menu con protagonista la “Peking Duck” va prenotato con diversi giorni di anticipo e il numero di pezzi è limitato.
Gli ispettori Michelin sono convinti che nel 2025 “le persone riconosceranno la Cina come un vero scrigno di delizie gastronomiche“. Alcuni ristoranti di Shanghai, infatti, stanno rivitalizzando e riportando in vita l’arte delle cucine imperiali con un taglio più contemporaneo, inserendo delle ispirazioni e ingredienti Occidentali, perché il lusso è restare in sintonia con lo spirito del tempo e con il cambiamento dei consumatori.
Tra i ristoranti che stanno guidando questo “nuovo corso” della cucina cinese c’è Hakkasan Shanghai, fondato nel 2001, situato al quinto piano del Bund 18, in una zona prestigiosa. Il ristorante offre una cucina cantonese moderna con influenze occidentali. La volontà di preservare le tecniche culinarie tradizionali cinesi, di mischia a un tocco moderno, come dimostrano piatti come le Costine di maiale affumicate al tè al gelsomino, i dim sum che comprendono granchio reale, ravioli di manzo wagyu con aglio nero, shui mai di abalone e pollo con caviale, e ravioli di aragosta “occhio di fenice”.
Non manca l’Anatra alla pechinese croccante con caviale imperiale: Anatra arrosto servita con caviale, pancake e cetrioli baby. Il piatto, come avveniva alla Corte degli imperatori, è in più servizi e la seconda portata include i noodles Dandan e l’anatra saltata con sale e pepe. Lo spirito del tempo è interpretato anche da un ottimo pairing di cocktail tra oriente e occidente.
Da guardare con attenzione anche Obscura, ristorante innovativo di Shanghai, che reinterpreta in modo più deciso la cucina cinese antica. La ricerca e l’esplorazione si intensificano, guardando in modo nuovo le materie prime delle varie regioni cinesi e una maggiore attenzione alla stagionalità. Il menu di Obscura cambia spesso ma si possono citare alcuni piatti signature che sono diventati iconici come l’Anatra alla pechinese rivisitata e il Maiale arrosto cantonese con influenze occidentali: un piatto che combina i sapori tradizionali del maiale arrosto con ingredienti o tecniche occidentali per offrire una nuova prospettiva su un classico.
“Quando venite a cenare da noi per la prima volta, scoprirete molti piatti che non avete mai provato prima”, promette DeAille Tam, chef e co-fondatrice del ristorante Obscura a Shanghai. e cresciuta in Canada. “Il nome Obscura rappresenta curiosità e assenza di confini. Vogliamo ampliare gli orizzonti culinari dei nostri ospiti reinterpretando le ricette tradizionali cinesi e combinandole con influenze occidentali. Troviamo ispirazione per i nostri piatti viaggiando in tutta la Cina, nel resto del mondo e, naturalmente, tra le strade di Shanghai.” Il ristorante si trova nel distretto di Jing’an, nel centro di Shanghai. Il nome “Obscura” rappresenta per loro curiosità e assenza di confini, con l’obiettivo di ampliare gli orizzonti culinari degli ospiti reinterpretando le ricette tradizionali cinesi e combinandole con influenze occidentali. Trovano ispirazione per i loro piatti viaggiando in tutta la Cina, nel resto del mondo e, naturalmente, tra le strade di Shanghai.
8. Street food edition: Tacos, Thai Grill e altri sapori dal mondo
Nel 2025, la voglia di viaggiare passerà sempre più attraverso il piatto, portando l’alta ristorazione a esplorare sempre più le cucine etniche, lontane, dal mondo. I luxury food sono scoperta e conoscenza e permettono di ricordare e rivivere un viaggio che ci ha lasciato forti emozioni, oppure di sognare nuove mete che vorremo esplorare. Ecco la capacità esperienziale del gusto.
A Londra, la Guida Michelin ha notato una forte crescita di ristoranti che evocano il tema del viaggio dall’Africa occidentale di Akoko e Chishuru, alla griglia thailandese di Kiln, fino ai sapori georgiani di Kinkally. Un fenomeno interessante riguarda anche le cucine coreana e messicana reinterpretate con ingredienti esclusivamente britannici: DOSA porta l’autenticità coreana nel cuore di Londra, mentre KOL esprime la tradizione messicana con una filiera rigorosamente locale.
In Francia, il melting pot gastronomico si riflette in ristoranti come Aldehyde a Parigi, che fonde influenze francesi e tunisine, o Sétopa, che reinterpreta la cucina coreana con uno sguardo contemporaneo. A Bordeaux, invece, il ristorante Kedem esplora i sapori del Medio Oriente con eleganza e ricerca.
Un altro trend del 2025 sarà la consacrazione del cibo di strada, che interesserà sempre più gli ispettori della Guida Michelin.
A un solo anno dal debutto dell’edizione di Città del Messico, oltre 20 taquerias sono già entrate nella selezione, tra cui El Califa de Léon, che ha ottenuto una Stella MICHELIN per la sua maestria nel trasformare il taco in un’esperienza gastronomica raffinata.
9. Drink pairing che vanno oltre il vino

Causa decreto sulla sicurezza stradale, il consumo di vino è crollato (o almeno così dicono le statistiche). I cocktail, soprattutto no alcol, diventano i nuovi protagonisti, così come aumenta l’interesse per il vino dealcolato. Pensare che il vino sia l’unica opzione per accompagnare un menu degustazione è ormai una visione del passato. Nel 2025, le proposte di pairing si faranno sempre più innovative, esplorando cocktail d’autore, infusioni e bevande analcoliche. Una tendenza che abbiamo visto svilupparsi in particolare in Asia, dove il vino non è propriamente “una tradizione” come da noio. A Pechino, il ristorante Lu Shang Lu, per esempio, specializzato in cucina confuciana, porta l’abbinamento tra cibo e tè a livelli altissimi. Qui, un sommelier del tè seleziona percorsi degustativi personalizzati, scegliendo tra infusi pregiati che spaziano da varietà rare di pu-erh stagionato a delicati oolong a fermentazione controllata. Il risultato è un’esperienza che enfatizza la stratificazione dei sapori senza sovrastare le preparazioni dello chef.
A Tokyo, il MAZ di Santiago Fernandez, espressione della cucina peruviana in chiave nipponica, ha introdotto la pairing list “Experience and Senses”, un viaggio attraverso infusioni botaniche, elisir e distillati analcolici, studiati per esaltare la profondità delle materie prime utilizzate. Dai succhi fermentati di frutti amazzonici ai brodi infusi con erbe giapponesi, ogni sorso è pensato per amplificare le note aromatiche di ogni piatto.
10. Il caviale? Dipende

Tra i trend segnalati dalla Guida Michelin compare anche il caviale, spesso utilizzato per aggiungere un “tocco di preziosità al piatto”. Tra gli esempi apprezzati dagli ispettori, i Nuggets di pollo con caviale di Coqodaq a New York e la Panna cotta al caviale di Quince a San Francisco
Ma dipende. Oggi il caviale, di per sé, non è più considerato un simbolo assoluto di lusso, bensì, nella maggior parte dei casi, un elemento di uniformazione. Se un tempo rappresentava un ingrediente esclusivo, oggi il suo utilizzo è spesso scontato, privo di un vero pensiero gastronomico dietro. Tuttavia, nella storia della cucina italiana, il caviale è stato impiegato con intelligenza e creatività, come dimostra il celebre piatto L’insalata di spaghetti al caviale ed erba cipollina, creato nel 1985 da Gualtiero Marchesi.
Questo signature dish rappresenta un perfetto esempio di luxury food, non solo per la preziosità del caviale, ma per il messaggio concettuale che lo accompagna. L’ispirazione arriva da un classico estivo della tradizione italiana, l’insalata di riso freddo, reinterpretata con la pasta lunga. La semplicità è il punto di forza: al posto di una varietà di condimenti, il caviale in purezza, a sottolineare la filosofia di Marchesi, secondo cui la cucina italiana è intrinsecamente preziosa. La pasta, elemento umile e accessibile, viene trattata con la stessa dignità del caviale, nobilitata dal contesto in cui è inserita. In questo caso, l’ingrediente non è un mero orpello di lusso, ma un elemento carico di significato.
A ben vedere, il concetto stesso di lusso gastronomico si è evoluto profondamente negli ultimi anni. Come sostiene Norbert Niederkofler, “Il paradigma del lusso è cambiato drasticamente e sono mutati i concetti chiave che lo riempiono di significato. Pensare che lusso significhi solo caviale, astice e aragoste è una visione del passato, obsoleta. Anzi, credo che mettere nel piatto ingredienti ‘pregiati’ e ‘costosi’ sia l’ultimo dei lussi. Oggi il vero lusso è acquistare dal contadino, che mette ancora le mani nella terra, una terra sana, viva e vitale, perché non ha conosciuto pesticidi né chimica. Il vero lusso oggi fa rima con food security: sempre di più dobbiamo sapere da dove arriva il cibo che mettiamo nel piatto, perché da lì dipende la nostra salute. Considero un privilegio poter guardare in faccia chi ha coltivato le verdure che porto in cucina, instaurare una relazione umana con chi lavora la terra. Noi incontriamo di persona i piccoli produttori locali, li paghiamo direttamente, diamo valore al loro lavoro e abbiamo completamente eliminato la figura dell’intermediario. A chi mi dice che comprare dal contadino ‘costa di più’ rispondo che non è vero: basta non buttare via niente. Il lusso non è calcolabile in termini di prezzo, perché è giusto retribuire il lavoro fatto con fatica. I coltivatori con cui collaboro si svegliano all’alba, raccolgono le verdure al meglio della loro maturazione, non importa che sia sabato, domenica o un giorno festivo.”
Oggi il lusso si misura in autenticità, sostenibilità e consapevolezza. Certamente, esistono caviali di altissima qualità, ancorati a una zona di produzione specifica e frutto di processi rigorosi, ma il lusso gastronomico ha cambiato volto. Il caviale non è più l’icona indiscussa di questo mondo: il vero prestigio sta nella provenienza degli ingredienti, nella loro storia, nel rispetto per chi li produce e nella capacità di valorizzarli senza forzature.
Sempre che non siate Rasmus Munk, con il suo occhio che dal piatto di guarda, come il Grande Fratello di Orwell: la crema di zucca Butternut con olio di nocciola incontra la tartare di aragosta, limoni salati, crostino di pane croccante, finferli e un tocco di caviale di oscetra bulgaro, ma attenzione, collegato a un gel fatto da occhi di merluzzo e cannolicchi, questa volta 100% sostenibili. Un mix che solo alcune mente geniali riescono a pensare, rendendo qualsiasi ingrediente “non banale”.