Le collaborazioni tra arte e luxury food: Dom Pérignon sceglie Jean-Michel Basquiat

Somiglianze e differenze tra due mondi sempre più vicini. Valore simbolico alto, esclusività e rarità sono le parole chiave di una collaborazione vincente.

di Annalisa Cavaleri

Il lusso non si consuma, è ricerca di elevazione spirituale, momento edonistico per sé, piacere e rarità. Ecco perché l’arte e i “luxury food” (da intendersi come definizione specifica del libro A. Cavaleri – “Luxury Food”, FrancoAngeli, 2024) sono sempre più vicini.

“L’arte è quello che c’è fra il colore e la tela”.

Paul Klee

Lusso e arte sono accomunati da molti tratti che li rendono simili. Entrambi hanno in sé una forte componente estetica, influenzata dal «senso del bello» di quella cultura specifica in cui si radicano. Entrambi nascono con l’umanità, basti pensare alla bellezza degli oggetti d’arte e di lusso – gioielli, profumi, fino al cibo, altrettanto prezioso per la sopravvivenza dell’anima – trovati nelle tombe egizie.

Il lusso, come l’arte incrementa il suo valore col tempo, basti pensare ai quadri dei grandi artisti così come una borsa Birkin di Hérmes. Sia nel lusso che nell’arte, inoltre, l’utilità pratica è secondaria (per alcuni oggetti d’arte prossima allo zero).

Il valore simbolico alto sia del lusso che dell’arte è alto e entrambi sono marcatori sociali: gli oggetti di lusso – case, gioielli, auto…- così come le opere d’arte dicono che “ce l’abbiamo fatta”, che abbiamo raggiunto i nostri obiettivi personali e professionali, che siamo riusciti a entrare a far parte della punta più alta della piramide sociale. Ecco perché il lusso non è mai “democratico” o “per tutti”: la funzione antropologica e sociale del lusso è differenziarci gli uni dagli altri, creare nicchie specifiche, elevarci dalla massa e dalla quotidianità. Il brand del lusso è una “guida” verso le nostre aspirazioni sociali. Chi acquista il lusso vuole far parte di un club sempre più ristretto ed esclusivo.

Né nell’arte né nel lusso, non si può incontrare il consenso di tutti. Basti pensare a certe opere d’arte contemporanea, incomprensibili ai più, oppure alle caratteristiche di certi oggetti di lusso. La Ferrari non è certo l’auto più comoda, né la più silenziosa del mondo: ma per i “veri connaisseur”, i conoscitori esperti – che sono proprio queste caratteristiche che la rendono, insieme al design e alla sua storia mitica, un oggetto del desiderio. Il lusso, come l’arte, viene compreso solo da una ristretta élite. Arte e lusso, non sono “per tutti”.

Un’altra caratteristica è collegata proprio alla distribuzione. Più l’oggetto di lusso o l’opera d’arte sono “diffusi” e più si “volgarizzano”, più perdono di appeal per la propria nicchia. Come diceva il CEO di Porsche:

“Quando vedo due Porsche nella stessa via, inizio a preoccuparmi”.

Quindi, sia il lusso che l’arte hanno come caratteristica simile la necessità di “sedurre abbastanza clienti” per sopravvivere, ma mai “tutti”, per non perdere la propria essenza: restare esclusivi e dedicati a una nicchia.

Si possono notare anche alcune differenze tra lusso e mondo dell’arte. Non bisogna dimenticare, infatti, che il mantiene comunque sempre un valore d’uso, c’è sempre una utilità concreta e ha un reale valore di scambio (cosa che non avviene per le opere d’arte). Il lusso è radicato nell’economia reale, deve essere profittevole, perché il creatore del lusso vive della propria opera (e non è certo come l’artista maledetto che viene riconosciuto solo dopo la morte).

“Atlas” è un progetto espositivo di Fondazione Prada che presenta al pubblico un repertorio di opere di artisti contemporanei, favorendo un confronto diretto e un’esperienza non mediata con le arti visive – courtesy of Fondazione Prada

L’opera d’arte è unica nel tempo e nello spazio (dipinto vs. copia), mentre l’oggetto di lusso è per lo più creato per essere distribuito.

Il lusso traina l’arte, è un mecenate dell’arte: fin dall’antichità sono gli individui benestanti che sostengono l’arte. Il desiderio è sempre stato quello – attraverso l’opera dell’artista – di diventare anch’essi immortali, segnando il proprio nome nella storia dell’umanità.

Oggi i grandi brand del lusso (come LVMH) creano fondazioni per l’arte e sponsorizzano mostre i cui costi sarebbe altrimenti impossibile sostenere.

Il rapporto tra l’arte e i luxury food

Le collaborazioni creative sono una delle chiavi del successo sul mercato e i player del lusso se ne accorgono ogni giorno di più. Negli ultimi anni, infatti, i brand di alta moda, gioielleria, auto veloci si sono messi in collaborazione con i luxury food, iniziando a comprenderne le potenzialità.

L’arte e i luxury food possono collaborare a diversi livelli.

  1. L’arte che ispira il piatto: L’arte che ispira il piatto. Basti pensare a Gualtiero Marchesi è stato il primo top chef italiano a trarre ispirazione dalla pittura e dalla scultura: Jackson Pollock, Paul Cézanne, Piero Manzoni e Kazimir Malévich sono solo alcuni dei molti artisti che hanno ispirato i suoi piatti.
Il dripping di pesce di Gualtiero Marchese – courtesy of Fondazione Gualtiero Marchesi

2. L’arte all’interno della location. Un tempo i ristoranti erano molto lontani dai musei. Fu Gualtiero Marche- si l’antesignano in Italia dell’arte nei ristoranti. I critici d’arte storcevano il naso, vedendo quadri alle pareti e sculture sulla tavola, e ribadivano che quella scelta era un sacrilegio perché l’arte doveva stare nei musei, non certo dove si mangia. Oggi i grandi ristoranti stellati ospitano mostre e oggetti d’arte dedicati ai propri ospiti, che vogliono godere del bello dentro e fuori dal piatto.

Camouflage, La lepre nel bosco di Massimo Bottura, piatto ispirato alle parole di Gertrude Stein su Picasso.

3. La collaborazione con gli artisti. Nei luxury food una nuova product proposition è sempre possibile, a differenza del mass market che si satura con facilità. Questo dipende dalla capacità dei luxury food di inglobare in modo continuo diverse forme di creatività per nuovi messaggi. Un esempio di collaborazione ben riuscita tra un’artista di fama mondiale e un luxury wine è quella tra la maison Veuve Clicquot e Yayoi Kusama. La star giapponese ha decorato la bottiglia e il cofanetto de La Grande Dame (champagne di punta della maison) con i suoi gioiosi pois, messaggio di ottimismo e di forza femminile. L’iniziativa si è rivelata una mossa intelligente di marketing per affascinare non solo l’Occidente, ma anche l’Oriente, un mercato in grande crescita per il comparto champagne.

La Grande Dame 2012 Veuve Clicquot e Yayoi Kusama

Dom Pérignon sceglie Jean-Michel Basquiat

Dom Pérignon è da sempre pioniere del rapporto di collaborazione tra luxury food e artisti di fama internazionale.
Per il lancio del suo Vintage 2013 ha deciso di instaurare un profondo scambio creativo con la cantante Lady Gaga. L’operazione si concretizza nella realizzazione un’etichetta speciale, cangiante come gli abiti della regina del pop, e di un cofanetto ad hoc, che riporta entrambi i brand (la firma della cantante e il logo della maison di champagne). Ma non solo: campagna pubblicitaria firmata da Nick Knight, una performance artistica inedita di lancio, bottiglie-scultura in edizione limitata realizzate con lo stilista Formichetti, i cui proventi sono stati devoluti in beneficenza. La collaborazione si è spinta fino al gusto, con la scelta specifica di uno champagne che fosse capace di rappresentare il carattere deciso e poliedrico della star.

Dom Pérignon per Lady Gaga

L’operazione ha voluto accostare in modo simbolico la creatività artistica, che serve per produrre il pregiato champagne, frutto dell’ingegno e della sensibilità dello chef de cave Vincent Chaperon, al talento della cantante. Di solito il vero lusso teme le star, perché sa bene che il brand deve restare protagonista e non essere “vampirizzato” dalla star di turno, per quanto famosa sia. Il mito del brand di lusso, infatti, vive di se stesso: può giovare di una collaborazione, ma il brand non deve mai cedere il suo ruolo primario. Se lo fa, mettendo davanti la forza evocativa di una star (del cinema, della moda, dell’arte…) vuol dire che ha fatto il suo tempo e che ha perso il suo appeal. In questo caso, invece, l’operazione risulta ben riuscita, senza una “cannibalizzazione” di Lady Gaga sul brand Dom Pérignon.

Dal mondo della musica a quello dell’arte per la novità di questo autunno che vende Dom Pérignon rendere omaggio all’artista newyorkese Jean-Michel Basquiat  per l’edizione speciale del suo Vintage 2015.

Due simboli in etichetta: lo scudo e la corona

Simboli antichi per nuove strategie di comunicazione: scudo e corona

Come vuole l’arte – e il marketing – l’etichetta è un incontro di simboli: lo scudo, emblema della Maison, e la corona a tre bracci, dichiarazione e firma dell’artista newyorkese. La corona è simbolo di autorevolezza e regalità, con le sue punte collega l’uomo e Dio, visto che i re erano considerati di “discendenza divina”, tanto è vero che le incoronazioni dei Re di Francia avvenivano proprio nella Cattedrale di Reims. Per la festa sacra, si stappava lo champagne: ecco perché questo vino mitico è da sempre simbolo di festa, di gioia e di condivisione, ma anche di esclusività e di rarità (le feste per l’incoronazione erano riservate ai nobili e ai potenti, non certo “aperte” al popolo).

Jean-Michel-Basquiat-Untitled-Crown-1982

Lo scudo Dom Pérignon ha un doppio significato: nella tradizione araldica, evoca la difesa di un luogo e della sua comunità, testimonia sia l’attaccamento al territorio originario di Hautvillers che l’inflessibile ambizione di Dom Pérignon nell’affermare la propria unicità.

L’edizione speciale di comprende tre diversi coffret, ciascuno raffigurante una porzione del dipinto In Italian di Basquiat, che possono essere riassemblati se uniti insieme. L’etichetta delle bottiglie, anch’essa realizzata in tre varianti di colore, riporta l’emblema ibrido della corona a tre rami sovrapposta allo scudo.

La tribute collection si arricchisce di un pezzo unico, in edizione di otto esemplari, destinato agli intenditori di grandi annate e agli amanti dell’arte. Questa edizione speciale è stata realizzata in collaborazione con Artestar, un’agenzia globale di licenze e consulenza creativa che rappresenta artisti visivi, proprietà e fondazioni di fama mondiale. 

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